La figura della Beata Diana Giuntini da Santa Maria a Monte spicca tra le figure spiritualmente più belle che nel nostro territorio si inseriscono in quel movimento penitenziale e caritativo che interessò l’Italia del Duecento. Nel XIII secolo, infatti, si era diffuso anche in questa parte della Toscana il vento rinnovatore della Chiesa, e con essa della società medievale, rappresentato nel nostro comune, oltre che dalla Beata Diana, anche dai monaci Florensi, che si insediarono alle Pianore.
Oltre ad alcune agiografie sei, sette e ottocentesche anche la tradizione orale conserva la memoria della vita e dei prodigi compiuti, anche dopo morta, dalla nostra Diana. La venerazione per la Beata è sempre stata molto sentita tra la popolazione, tanto che nell’orazione recitata per la sua festa viene chiamata “patrona nostra”. Un recente studio ne affronta la biografia con criteri scientifici, per tentare di distinguere quanto è storicamente provato da quanto è solo leggenda. Le conclusioni, che facciamo nostre, sono che: “il culto della Beata Diana è da considerarsi ininterrotto fin dagli ultimi decenni del Trecento, e quindi … fin dal momento della morte, che la colse in età presumibilmente ancor giovane nella prima metà del secolo, con buona probabilità prima del 1327”, anno in cui il castello e la pieve con esso vennero distrutti dai fiorentini, comportando la traslazione della salma nella chiesa di San Dalmazio, ai piedi del colle. Quando poi il castello venne ricostruito e quando la chiesa di San Giovanni venne ampliata ed abbellita, la salma venne definitivamente traslata nella attuale collegiata. Questo evento viene ancora oggi rievocato il lunedì di Pasqua, secondo la tradizione giorno della morte della Beata, quando la “Processione delle paniere” da una cappella a lei dedicata, in località detta “fondo di costa” sale fino alla chiesa, portando ceste di fiori che un tempo contenevano un barilotto di olio per la lampada della Beata.
Sappiamo che già nel 1371 esisteva un ospedale a lei dedicato e, secondo la tradizione da lei stessa fondato: che ne sia stata lei la fondatrice o che le sia stato soltanto dedicato è questa la miglior attestazione del sentimento popolare che la identifica con le sue opere caritative, prendendola ad esempio quale protettrice dei poveri e degli afflitti.
Oltre a questo ospedale Santa Maria a Monte nel Medioevo ne aveva altri due: uno dedicato a San Iacopo fabbricato da Martino e Benigno Rossi nel 1235 e l’altro, detto della Compagnia della Croce, di ignota origine ma ancora presente nel XVII secolo.E’ bene ricordare che in quei tempi “l’ospitale”, un edificio talvolta anche di poche stanze, oltre che svolgere la funzione di ricovero per i feriti e gli infermi, faceva anche da ospizio per poveri viandanti e pellegrini.
La vasta aneddotica riguardante i miracoli da lei compiuti non è documentabile al punto di permetterne la santificazione.
Secondo la tradizione la Beata Diana fece cessare miracolosamente una bufera di pioggia e vento che si stava abbattendo sulla processione del Venerdi Santo a San Pietro a Valle, un’altra versione dell’evento narra che Diana disegnò un ampio cerchio e vi fece entrare i fedeli i quali non si bagnarono mentre tutt’attorno pioveva a dirotto.
Il padre francescano Terrinca, considerato il più attendibile fra i suoi biografi e che nel 1684 raccolse personalmente la tradizione orale riguardante la nostra Beata, sostiene che Diana era nata nel 1287 e che alla sua morte, a soli 18 anni, era già venerata come santa dai suoi compaesani, riferisce inoltre la testimonianza di un pittore che parla di un tabernacolo posto a ricordo del miracolo sopradetto.
Il miracolo più celebrato è senza dubbio la trasformazione del pane che portava “in grembio” in “rose e fiori” e poi nuovamente in pane quando lo portava ai poveri per evitare di essere scoperta dal padre: questo episodio è un ulteriore attestato popolare alla sua opera caritativa.
Anche il recupero della sua salma tra le rovine di San Dalmazio assume i contorni del prodigio: la leggenda narra che i buoi di un pastorello si “inginocchiarono” con le zampe anteriori davanti al sepolcro e un’altra versione vuole che una giovane pastorella volesse cogliere un giglio “candidissimo” ma nello stendere la mano sentisse la voce della santa. Entrambe le versioni continuano affermando che da sottoterra la Beata chiese al giovinetto, o giovinetta, di chiamare il prete e di dissotterrarla; dopo una iniziale incredulità, fugata dal miracoloso suono delle campane, venne iniziato il recupero delle spoglie durante il quale un badile tagliò di netto un dito alla salma e di nuovo si sentì una voce: “stai attento al capo che il dito già mi hai tagliato”. Effettivamente nell’urna della Beata c’è un dito staccato, ma sappiamo che questo venne trafugato da un sacerdote come reliquia e poi restituito. E’ curioso come anche in questo episodio si parli di un miracolo: il religioso si ammalò e non guarì finchè non restituì la reliquia.
Circa il ritrovamento desta non poche perplessità il fatto che sia stato per così lungo tempo perso il ricordo dell’ubicazione del sepolcro della Beata, data la venerazione popolare che la circondava come detto fin da viva; del resto della chiesa di San Dalmazio, seppur in rovina, non si era certo perso il ricordo, tanto che nel 1466 venne restaurata. Si può supporre che la salma non sia mai stata sepolta ma tenuta esposta nella pieve di rocca nella quale in antico veniva venerata, dopo la distruzione della pieve nel 1327, con ogni probabilità il corpo fu spostato, prima nella chiesa di San Dalmazio e successivamente nella collegiata, in un’epoca imprecisata ma certo anteriore al 1453, quando era già stata istituita la festa in onore della Beata nella chiesa di San Giovanni.
Fecero gridare al miracolo anche le qualità taumaturgiche dell’olio della lampada delle Beata con il quale una bimba ammalata “di bachi e di febbre” venne unta riportando un immediata guarigione, fra l’altro la madre prima di cospargerlo sul corpo della figlia lo scaldò sul fuoco e per sbadataggine se lo versò addosso rimanendo miracolosamente illesa.
La tradizione vuole Diana amica di Santa Cristiana da Santa Croce a Santa Verdiana da Castelfiorentino con le quali si sarebbe recata in pellegrinaggio al santuario di San Michele sul Monte Gargano; è assoluamente impossibile la familiarità con Santa Verdiana, morta nel 1242, più probabile è invece il rapporto con Santa Cristiana morta nel 1310.
Sul colle di San Michele, dove ora si trova la bella ottocentesca villa Mori, sorgeva un tempo la chiesa di San Michele. Secondo la tradizione Diana si ritirava presso questa chiesa in solitaria contemplazione; ancora nel XVII secolo questo luogo veniva indicato come “Il romitorio di Santa Diana”, e nel 1685 sappiamo che qui viveva un eremita mantenuto dalla generosità popolare. La chiesa di San Michele, dell’XI secolo e restaurata nel XV, venne adibita nell’ ‘800 a scuderia della famiglia Mori e successivamente a magazzino: nella foto è il primo edificio a destra della villa.
Anche se la credenze popolari vogliono Diana monaca presso il convento agostiniano di San Dalmazio nessun documento parla di una tale istituzione e gli storici ritengono che non abbia mai fatto parte di alcun ordine monastico anche se l’eremitaggio nella chiesetta periferica di San Michele a Colle, la vita di mortificazione e di preghiera e le opere di carità da lei compiute fanno scorgere nella figura della Beata Diana i tratti del più schietto spirito francescano.